Asse strategico 4: una nuova sanità territoriale, un nuovo modello di welfare valdostano.
La sanità valdostana rischia di perdere il livello qualitativo raggiunto, sia per la mancanza di personale sanitario, sia per le inefficienze strutturali del sistema. Occorre una riflessione approfondita a tutto campo che consenta, oltre agli importanti risparmi di gestione, un ambiente operativo ottimale per gli operatori così come per i pazienti.
Non dimentichiamo che la sanità è fatta di persone. Medici, infermieri, operatori sanitari che in questi anni hanno l’hanno tenuta in piedi in condizioni difficilissime, si sono sentiti trascurati e messi da parte. Questo è stato l’errore più grande: riconoscere solo a parole il loro operato senza riuscire a valorizzare a pieno le loro professionalità e soprattutto senza riuscire a garantire loro condizioni lavorative migliori.
Dobbiamo ripartire dalla centralità delle persone: degli operatori sanitari, dei malati e delle loro famiglie.
La prossima consiliatura dovrà necessariamente prendere in esame interventi lungimiranti sul tema della sanità e delle politiche sociali, anche in un’ottica di integrazione socio – sanitaria. Occorre rafforzare la prevenzione e la cosiddetta “medicina di iniziativa” poiché la prevenzione gioca un ruolo decisivo nella cura della persona. Si deve potenziare e riorganizzare la medicina territoriale che deve essere in grado di ridurre le ospedalizzazioni evitabili abbassando così i costi per il sistema sanitario.
Occorre garantire ai cittadini il pieno accesso ai servizi in tempi certi e ragionevoli intervenendo sulla gestione delle liste di attesa, magari avvalendosi delle esperienze virtuose messe in campo da altre regioni. Occorre proseguire con l’informatizzazione e la digitalizzazione della sanità favorendo la personalizzazione delle cure.
La gestione del welfare deve rimanere in capo ai comuni e, sull’esempio di quanto sta facendo il comune di Aosta, occorre uscire dalla logica degli appalti per andare verso il coinvolgimento del privato sociale mediante la “co – progettazione”.
Occorre distinguere tra i servizi che tendono a mantenere la domiciliarità dell’anziano (servizio di assistenza domiciliare, teleassistenza, accompagnamento e aiuto, socializzazione dell’anziano, assistenti di quartiere, ecc..) e strutture di assistenza per anziani (microcomunità e simili). I primi servizi per la loro flessibilità non possono che essere affidati, mediante lo strumento della co – progettazione alle imprese sociali, preferibilmente del territorio.
I secondi, essendo servizi più strutturati, possono essere gestiti sia mediante l’ausilio del privato (attraverso ipotesi di finanza di progetto), sia mediante la costituzione di una azienda pubblica (come ipotizzato dal governo uscente) che possa raccogliere sotto di sé tutti gli operatori pubblici del settore. Tale ultima soluzione, probabilmente da percorrere inizialmente, dovrà contemplare un idoneo stanziamento regionale per far fronte ai costi di gestione al fine di consentire al sistema una transizione sostenibile da un modello prevalentemente pubblico ad un modello misto.
Dobbiamo poter mantenere i livelli assistenziali raggiunti salvaguardando al contempo le professionalità e i lavoratori del settore: la gestione del welfare (inteso a 360 gradi dalla culla alla tomba) non può più prescindere dalla piena applicazione del codice del terzo settore approvato recentemente dal Governo nazionale che getta le basi per un nuovo rapporto pubblico/privato sociale basato su strumenti innovativi quali la coprogrammazione, la cogestione e la coprogrogettazione.
Occorre realizzare un’architettura di welfare moderna e innovativa fondato sul modello di accreditamento come opportunità di superamento delle gare d’appalto in cui le famiglie liberamente possano scegliere i servizi necessari ai loro specifici bisogni. La misura unica della famiglia è il presupposto necessario alla realizzazione operativa di questa scelta
La lotta alla povertà è un altro obiettivo fondamentale. Il Reddito d’inclusione, introdotto grazie al lavoro del PD nella scorsa legislatura, è stato un grande passo avanti, ma non è una misura sufficiente a risolvere il problema.
Vanno ripensate le misure regionali di sostegno al reddito e di contributi. Sono numerose e non sono collegate tra loro e a queste si aggiungono gli aiuti proposti da altri enti e da associazioni di volontariato. Il Partito Democratico propone la MISURA UNICA PER LA FAMIGLIA: per evitare opportunismi e mero assistenzialismo, qualsiasi tipo di contributo deve finire in un unico database, così che si possa misura l’entità dei contributi dati al singolo e alla famiglia. Chi si trova in situazione di difficoltà economica deve essere sostenuto creando le condizioni perché queste persone escano dalla povertà: sostegno nel trovare un lavoro, politiche della famiglia, monitoraggio delle condizioni del singolo e della famiglia.
Serve poi potenziare la rete che indirizza e accompagna la famiglia o la persona alla risoluzione del problema, con un miglior coordinamento tra gli enti e gli uffici che si occupano della questione. La persona si deve sentire seguita e valorizzata.
La lotta contro la povertà deve cambiare punto di vista, uscire dalla sola visione basata sul reddito. E’ necessario cambiare il modo con cui sostenere le persone non autosufficienti, anziani, disabili, malati (che si trovano in situazioni di difficoltà che prescindono dal reddito): il pubblico deve riconoscere queste situazioni con la creazione di politiche su misura sulla base della situazione economica e sociale di queste persone. Gli aiuti economici da soli non possono bastare: serve ripensare a una rete di sostegno e supporto.
Bisogna tornare al concetto diritti uguali per tutti, paradossalmente con la crisi siamo passati ad avere una classe media che paga tutto per intero o quasi (rette universitarie, contributi alle microcomunità, ticket sanitari). Spesso economicamente la famiglia si sacrifica perché non può permettersi la retta di un pensionato, soprattutto quando la moglie non ha la pensione propria e il marito si ammala. Crediamo che sia indispensabile diminuire le rette e i contributi ai servizi dovute dalle famiglie.
Occorre agire attraverso l’erogazione di contributi alle aziende, agli ordini professionali e alle associazioni di rappresentanza dei liberi professionisti e dei lavoratori autonomi, finalizzato a:
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sollecitare le parti sociali ed economiche a promuovere, presso i propri iscritti e aderenti, il welfare aziendale quale strumento per aumentare la produttività e per migliorare la conciliazione vita – lavoro dei lavoratori dei rispettivi settori, nonché a beneficio delle libere professioniste e lavoratrici autonome;
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trasferire know-how specifico e affiancare le aziende che intendono applicare o che in parte già applicano, misure di welfare orientate al benessere dei dipendenti in una logica di prevenzione di tutti quei fattori che incidono negativamente sulla motivazione, l’assenteismo, la sicurezza del lavoro, etc;
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promuovere il benessere dei lavoratori e la conciliazione vita – lavoro, creando i presupposti per un incremento della produttività aziendale;
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favorire la permanenza nel mondo del lavoro delle lavoratrici a seguito della maternità.
Abbiamo anche pensato ad un pacchetto di misure per i giovani per favorire l’autonomia abitativa dei giovani (studenti e non) che lo desiderano attraverso misure come: i voucher da spendere per prendere in affitto un alloggio o una stanza a canone concordato; tassazione agevolata per gli operatori che promuovono interventi di affitto a riscatto per giovani coppie; misure che sostengano i giovani che, responsabilmente, avviano percorsi di risparmio casa.
Nell’ambito di queste politiche non abbiamo dimenticato i nuovi bisogni d’abitare degli anziani. L’allungamento della speranza di vita media fa sì che emergano bisogni nuovi legati alla qualità dell’abitare per queste categorie di persone. Le proposte che avanziamo ad esempio: portierato sociale per anziani autosufficienti ma comunque bisognosi; incentivi per la realizzazione di servizi e alloggi protetti dedicati ad anziani autosufficienti.
In questi anni ha conquistato il primo piano nel dibattito il tema dell’HOUSING SOCIALE. L’obiettivo dell’housing è quello di creare le condizioni per aiutare il ceto medio in difficoltà e consentire ai nuovi ceti emergenti con un livello di reddito discreto ma insufficiente rispetto ai prezzi del libero mercato, (giovani famiglie, immigrati regolari, giovani liberi professionisti) di raggiungere una propria autonomia. Per farlo si conta di incrementare il patrimonio immobiliare a uso abitativo a prezzi sostenibili attraverso l’offerta di alloggi di edilizia residenziale da realizzare con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinati alle categorie sociali svantaggiate nell’accesso al libero mercato degli alloggi in locazione nell’ottica di realizzare un mix sociale. Dal mix tra investimenti pubblici e privati potrebbe arrivare una parte della soluzione agli antichi e gravi problemi dell’accesso alla casa. Si tratta da questo punto di vista di reinterpretare il ruolo del pubblico come elemento facilitatore nel percorso di autonomia abitativa, utilizzando gli strumenti che possono essere messi a disposizione dal mercato e dai privati a vocazione sociale. In questo quadro un ruolo centrale e decisivo potrà essere giocato dal mondo cooperativo che rappresenta allo stesso momento un “mezzo” per aprire le porte di una casa a migliaia di famiglie e un “modo” di concepire la comunità come bene comune. L’idea di fondo è da condividere: oggi più che mai è necessario il ruolo del pubblico per favorire meccanismi virtuosi tra pubblico e privato nelle sue varie forme.