Noi del PD Valle d’Aosta per ricordare il 25 aprile abbiamo deciso di condividere le parole del Sindaco di Aosta Gianni Nuti, pronunciate in Piazza Chanoux in occasione delle celebrazioni della Festa della Liberazione.
Parole, soltanto parole…
Sono i fatti che contano, noi siamo gente concreta. Eppure una parola può cambiare la nostra visione del mondo. Sì, perché in realtà sono pezzi di carne le parole, lame sottili e taglienti, talora sono frane rovinose. Allora spendiamo alcune parole anche oggi, certi che, ancor più oggi, non siano poi così vane.
Dal 25 aprile 1945, in questa città dal 28, siamo donne e uomini liberi. Essere liberi da un passato, ma anche essere liberi di costruire un futuro. Liberi da quel fascismo nato nel sangue, quello sparso dagli squadristi che fracassavano il cranio degli oppositori politici, compreso quello di Giacomo Matteotti, di cui ricorrono i cent’anni dalla morte il prossimo 10 giugno, ricordiamolo almeno noi. Liberi da quel fascismo spento nel sangue fratricida della guerra civile e di un devastante conflitto mondiale. Liberi da quegli occhiali che il fascismo aveva imposto per vent’anni ai nostri padri e che, come nel mondo dispotico raccontato ne l’Orso Bianco (episodio della serie televisiva Black Mirror) avevano trasformato ipotetici immaginari nemici in mostri deformi, pericolosi e istigatori d’odio: prima gli operai comunisti, poi i vecchi parlamentari, poi i libici, gli etiopi, i sodomiti, i subnormali, i giudei… usiamo il lessico dell’epoca. Seminare morte per unire un popolo. Ma era solo un regime manesco che annientava gli oppositori a suon di manganellate o di fucilate e basta? A quel tempo gli scappellotti volavano in ogni casa e all’osteria ci si menava per un nonnulla, che volete fosse mai? No, il veleno più tossico e penetrante era fatto, non ci si crede, di cultura. Ovvero di quell’insieme di idee sul mondo che ne ritagliano i contorni proprio a suon di parole e di scritte in ogni muro e di disegni-simbolo. E’ quella cultura che ha riempito le menti di menzogne e semplificazioni e ha di fatto vivere nel reciproco sospetto, confondendo una verità che, udite, esiste ed è incontrovertibile e va riconosciuta e difesa. E’ quella cultura che ha fatto sì che non ci fossero posizioni politiche di destra o di sinistra pronte a dibattere in un civile confronto democratico, ma solo l’unica posizione di un popolo monolitico. Ecco le radici del populismo, un unico pensiero grezzo, per noi valdostani anche un’unica lingua, un unico colore, il nero, un simbolo identificativo, il teschio, incarnato da un uomo solo, il Duce Benito Mussolini. Una cultura della maschera, macabro simulacro della gloriosa commedia dell’arte che passava attraverso il linguaggio del corpo, ancora più penetrante di quello delle parole. Si gesticolava in ogni consesso pubblico con enfasi solo apparentemente caricaturale, in realtà seduttiva, ammaliante, esteticamente icastica e insieme fonte di sacro timore.
Restiamo liberi, cittadine e cittadini, da plastici incantatori di serpenti. Noi, figli del 25 aprile 1945, siamo grati a colore che hanno conquistato la libertà di mettere a servizio del nuovo Stato tutte le energie migliori, gli intelletti più raffinati, le donne e gli uomini più coraggiosi con molteplici visioni del futuro: liberali, cattolici, comunisti, socialisti, membri del Partito d’Azione, autonomisti, federalisti… per scrivere le regole del gioco democratico insieme, e fondare i principi di una comunità più umana di quella passata, di immaginare una cultura migliore di quella allora ereditata e comunque persistente nelle coscienze, nonostante le macerie e i dolori e le perdite subite. Siamo grati per averci permesso, almeno fino ad oggi, d’essere liberi di esprimerci, civilmente, in ogni modo, liberi di cercare la verità con ogni mezzo, magari senza trovarla appieno, ma potendoci provare, liberi anche di ammettere che odio porta a odio e che la crudeltà sta nel genere umano e in certe condizioni si sparge da ogni parte. Assaporiamo ancora oggi la libertà di sentirci popolo nelle differenze, colorate come un arcobaleno, appassionato alla vita, attento alle fragilità, curioso conquistatore di nuove conoscenze, prudente, ma senza paura del nuovo.
Noi, figli di Emile Chanoux, Federico Chabod, Amédée Berthod, Lino Binel, Joseph Bréan, Guglielmo Caracciolo, Enrico Chantel, Cesare Olietti, Emile “Milò” Lexert. Noi, figli di Alessandro Passerin d’Entrèves, Ida Desandré, Ico Enrico Loewenthal, Antoine Caveri, Maria Ida Viglino, Anna Cisero Dati. Noi, figli di tutte le staffette e di tutti i partigiani non citati ma indimenticati, dei soldati, degli alpini e dei Carabinieri che hanno disobbedito all’invasore. Noi, indegni successori del primo sindaco della rinata città di Aosta, Carlo Torrione, non possiamo che difendere con ogni forza tutte le libertà conquistate per la nostra terra, per la nostra gente.
Per tutto questo, nell’Italia liberata, esprimiamo noi il desiderio che tutti coloro i quali giurano fedeltà al popolo italiano, nessuno escluso, con una mano sulla Costituzione pronuncino queste poche parole: io giuro di combattere ogni giorno contro il fascismo che c’è in me e che rigurgita, tenta di risalire e di prendere il sopravvento seminando intorno a me un acre odore di morte. Giuro di essere antifascista. Viva la Repubblica. Viva l’Italia liberata. Viva la Valle d’Aosta autonoma perché antifascista.